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TECHNO ZAINI di RAM

Luglio, per molti le agognate vacanze si avvicinano, capita di dover, e anche solo voler, pensare al proprio equipaggiamento, “avrò tutto…?!?!”, al cosa portare, ma anche… a come portarlo.

Oltre al bagaglio principale, in molti facciamo uso di uno zaino per le cose di frequente uso, personali, di valore, da avere sempre con se, tante diverse ragioni riempiono lo zaino… “da giorno”.

Ne abbiamo di diversi tipi e misure, da quello preso coi punti fedeltà della tal raccolta, a quello super tecnico, passando per “quelloconcuiabbiamofattoqueltalviaggio”, scomodo e inutile per il prossimo, eppure stiamo comunque pensando di portarcelo.

Oppure no…

Con questo dubbio, ci siamo messi a guardarne sul web alcuni “diversi”, alcuni per un uso decisamente più metropolitano, altri da outdoor.

Per rispondere alle nuove esigenze di versatilità, gli zaini di oggi hanno materiali idrorepellenti, scompartimenti interni con imbottiture, sistemi anti-shock e tecnologia antimuffa. Alcuni hanno tasche dotate di sistema di sicurezza con blocco rfid per schermare dati sensibili, o pannelli solari integrati per ricaricare lo smartphone, ma ce ne sono anche tanti davvero insoliti.

Ecco cosa abbiamo curiosamente trovato:

Molte ormai le aziende che propongono lo zaino dotato di una maniglia di traino e di un sistema di ruote integrato che di fatto lo trasformano al bisogno in un trolley.

Una startup propone in pre-ordine lo zaino digitalizzato, personalizzabile con disegni e scritte in pixel da formare attraverso l’app dedicata; si può scegliere cosa fare comparire in maniera luminosa sulla scocca dello zaino.

Le cosiddette “camel bag” sono note agli escursionisti; ora alcune aziende ne propongono anche versioni integrate in zaini più di uso quotidiano, addirittura proposti pensando ai concerti! Si tratta di zaini comodi da indossare, leggeri e waterproof, con un sistema idrico integrato: una sacca da riempire di acqua o altro è agganciata all’interno dello zaino, in una tasca totalmente impermeabile in caso di fuoriuscite di liquido.

Abbiamo poi “visto”, è il caso di dirlo, lo zaino composto da uno speciale materiale riflettente dotato di milioni di micro-particelle integrate che lo rendono totalmente luminoso al buio se illuminato da fari di auto, moto o bici varie.

Per uso prevalentemente cittadino, lo zaino che si avvale di tecnologia anti-furto con tessuti contro i tagli, cerniere a scomparsa e tasche nascoste, interessante anche perchè  al suo interno prevede uno scompartimento ad hoc per ciascuna tipologia di device elettronico. C’è la tasca per il tablet, quella per lo smartphone, quella pensata per accogliere mini notebook, quella per il Kindle e quella più grossa per il laptop. Ovviamente ha anche una porta usb per ricaricare ogni dispositivo.

C’è poi lo zaino ideato per chi deve stipare lo zaino nel bagaglio a mano prima di decollare. Ultra leggero, con un peso inferiore ai 200 grammi, è molto compatto e il suo materiale tecnico speciale permette di ripiegarlo su se stesso fino a farlo diventare minuscolo. Una volta tolto dal trolley, diventa molto capiente e con una buona imbottitura anti-urto.

Uno zaino che ti massaggia mentre cammini non è più un sogno per amanti del benessere ma una realtà: ha come dispositivo integrato un massaggiatore che si attiva con un semplice click sul tasto posto in una bretella.

L’azienda che commercializzava borse composte di materiale riciclato i cui tessuti provengono dai teli per camion in disuso, ha realizzato anche lo zaino, dotato di due maniglie si può facilmente capovolgere e trasportarlo in orizzontale a mo’ di valigia.

Diverse le aziende produttrici di accessori per fotografia che si sono affacciate al mondo dello zaino, realizzando l’evoluzione dello zaino fotografico, pensato cioè per ospitare la sola attrezzatura: ne abbiamo trovati di compatti, leggeri, con scomparti separati da quelli fotografici, sicuri sul fronte ammortizzazione di urti e para-colpi, pensati per contenere sia le cose di tutti i giorni che anche reflex, obiettivi e laptop, dotati di cinturini frontali che possono trasportare un treppiede.

C’è poi quello dotato di faretto a led posto sul fronte che permette di illuminare la strada buia in tre modalità: intensa, soffusa, normale. “Con 28 ampie tasche imbottite, 14 tasche più piccole progettate per proteggere accessori tecnologici e 11 mini-scompartimenti per nascondere documenti e portafogli vari” recita la descrizione del produttore, e in effetti… si, credo che le cose sia facile nasconderle anche a noi stessi con tutti quegli scomparti!

Buon viaggio a tutti!

RAM

 

 

 


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CEVICHE, IL SUSHI PRECOLOMBIANO DI Silvia Fratini

Ogni cucina ha il suo piatto simbolo: se il turista in Italia mangia pasta anche a colazione e in Thailandia il pad thai ti esce dalle orecchie, in Perù non si può perdere l’appuntamento col ceviche, un piatto incredibile che affonda le proprie origini nelle civiltà precolombiane che abitavano le terre sudamericane
ben prima degli Inca.

Il ceviche è una preparazione a base di pesce crudo marinato con liquidi ed erbe.
Per riproporlo da noi, il pesce crudo può spaziare dal branzino alla sogliola, dal polpo alla capasanta passando per crostacei ed alici: vanno bene tutti, basta che siano freschissimi, è uno dei segreti per la riuscita del piatto, che va preparato sempre immediatamente prima del consumo.

Il vero cuore del piatto, tuttavia, si cela nella marinatura, una tecnica di preparazione degli alimenti che passa per l’immersione degli alimenti crudi o cotti in un liquido acido variamente preparato.
Avete presente il pesce in carpione o le sarde in saor? Ecco, quella preparazione.
Originariamente, la marinatura del ceviche si basava sul succo di lime, di tumbo o di mais, frutti disponibili nella vegetazione della fascia costiera sudamericana.
Con l’arrivo degli spagnoli giunsero in Sudamerica malattie sconosciute, armi e qualche frutto esotico come il limone e la cipolla: il primo finì per sostituire il succo dei frutti locali, mentre la cipolla cruda si aggiunse semplicemente all’intingolo.

Per completare la marinatura mancano ancora i peperoncini peruviani (chiamati rocotos), di incredibile abbondanza, varietà e piccantezza, i peperoni noti come aji e il coriandolo, amato ed odiato protagonista della ricetta.
Il liquido di marinatura così ottenuto è quello che in gergo viene chiamato leche de tigre e che nella tradizione viene servito in un bicchiere con l’aggiunta di un misurino di pisco, il distillato nazionale.
Per la potenza della bevuta è chiamato llevamuertos, e pare funzioni meglio del Viagra.

La ricetta
Ingredienti per 3 persone

 250 g di pesce fresco (polpa di pesce bianco come corvina, persico, branzino, e/o crostacei)
 1 piccolo peperoncino tritato fine
 il succo di 5-6 lime e/o limoni
 100 g di aji tagliato brunoise, ovvero a piccoli cubetti
 130 g di cipolla rossa brunoise
 un mazzetto di coriandolo
 sale
 pepe

Preparazione
Lavate e sciacquate il pesce, poi tagliatelo a cubetti e mettetelo in una ciotola.
Aggiungete la cipolla tagliata fine, sale, pepe, aglio, peperone e peperoncino e amalgamate.
Versate il succo di lime sul composto in modo da coprirlo completamente.
Coprite la ciotola con della pellicola trasparente e fate riposare per un’ora in frigorifero.
Servite con del coriandolo appena tritato.

 

 


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APP-ASSIONATAMENTE di Fabio Z. & Marco A.

Hemingway in un suo celebre romanzo riportava la convinzione che l’Arco della Pace fosse esattamente allineato all’Arc du Triomphe.

 

“Marco, ora che lo sai puoi berti una birra in Sempione e camminare dritto fino a Parigi per vedere se è vero, ma se volessi andarci con mezzi più idonei sai quante sono le alternative con relativi tempi e costi?”Esiste una App e relativo sito che si chiama Rome2Rio, che ti permette di vedere in un attimo tutte le soluzioni per spostarti da un punto all’altro della stessa città o del globo terrestre (se te lo stessi chiedendo da Capo Nord a quello di Buona Speranza ci vogliono almeno 28 ore e 600 euro!).

Tra i pro, ti segnaliamo che non serve scaricare nulla sulla tua device, è sufficiente avere una connessione internet, è molto semplice da usare, e ti fornisce i link diretti alle varie compagnie di trasporto cui fa riferimento per prenotazioni e informazioni.

 

“Fabio, ma se anziché una birra volessi bermi un’Amarula? Mi è capitato di non avere connessione in Africa Australe, eppure….”Ecco un’altra app che abbiamo usato in giro per il mondo, si chiama Here WeGo, dev’esser scaricata e installata sulla propria unità, insieme alle mappe, spesso file di grandi dimensioni, dei paesi da visitare.

Tra i pro, ti segnaliamo che può esser usata offline, puoi impostare la meta per indirizzo o coordinate Gps, selezionare il mezzo di locomozione, auto, mezzi pubblici, taxi, piedi, in alcuni casi anche bicicletta, in funzione del quale il percorso viene calcolato includendo o meno zone pedonali, comprende molti luoghi di interesse, tra cui pernottamenti e ristoranti, facilmente selezionabili per la navigazione verso gli stessi.

 

“Quindi Marco, stasera birra o Amarula?”

“Scegli tu; io guido, tu navighi”

“Ehm… Marco… non c’è campo qui”

“Ops, Fabio… non ho scaricato la mappa dell’area…”

“Hai ancora la bussola del nonno….?”

“Sempre nello zaino, è uno dei miei talismani in viaggio”.

 

Hai anche tu riferimenti e siti che trovi utile per noi App-assionati di viaggi?

Scrivici a Avventuremilano@gmail.com

 

Fabio Z. & Marco A.


GALAPAGOS di Stefano Soldà

Viaggio meraviglioso, spettacolare, unico, di tutti i miei viaggi lo metterei al secondo posto dopo lo Yemen!

Come essere immersi in un documentario di Piero Angela, sto parlando delle Galapagos ovviamente, gli itinerari giornalieri sono decisi in precedenza dall’ente parco e dalla guida della vostra barca, non si possono fare variazioni neanche di un ora, tutto stabilito in modo impeccabile, si vede il più possibile nel modo migliore.

Si rimane immersi negli ambienti degli animali autoctoni delle isole per una settimana, Siamo noi che siamo a casa loro quindi massimo rispetto per tutto, i percorsi sulle isole passano dai nidi degli uccelli, delle iguane, non è possibile uscire dal percorso segnato per evitare di distruggere i nidi.

La guida naturalistica, durante la crociera, vi saprà trasmettere entusiasmo per ogni attività e avvistamento animali spiegandovi la formazione delle isole, la vita degli animali terrestri e marini. La cosa che ci è rimasta più impressa è l’assoluta mancanza di paura nei confronti dell’uomo da parte degli animali; una delle regole alle Galapagos è “non avvicinarsi agli animali ad una distanza inferiore ai due metri”, in alcuni casi è davvero difficile osservare la regola, gli animali ti vengono letteralmente incontro, specie i leoni marini, e la tentazione di stargli vicino o accarezzarli è forte.

Poi snorkelling tutti i giorni prima o dopo l’escursione a piedi nelle isole, quando si risale sulla barca un rinfresco con pizzette e un succo fresco, si viene coccolati dall’equipaggio che si merita una consistente mancia.

Le immersioni in apnea sempre in compagnia di squali pinna bianca o nera, tartarughe, razze, mante, delfini, pesci di tutti i tipi e dimensioni, insomma tutto!

La parte continentale dell’Ecuador molto bella con le architetture tipiche coloniali, Cuenca un gioiello, Quito molto sopravvalutata se posso consigliare meglio una mezza giornata in piu’ a Cuenca e mezza in meno a Quito.

I 2 vulcani il Cotopaxi e il Chimborazo sono delle belle passeggiate di 2/300 metri in salita senza problemi se non per la mancanza di fiato, ce la fanno tutti basta avere voglia di farcela, i 5000 metri si fanno sentire.

Un viaggio meraviglioso vi aspetta !

appassionatamente Stefano


GRAZIE DOUG di Marco Amoroso

Grazie Doug.

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Mi piace quel momento dell’anno in cui davanti alla porta di casa trovo il “librone”, La grande guida dei Viaggi nel Mondo, in parte copia cartacea del sito di Avventure nel Mondo, e il primo numero annuale dei racconti di viaggio.

Non credo di esser un nostalgico della carta, ma il librone mi piace sfogliarlo, leggerlo, è una consultazione diversa, nella ricerca di informazioni spunti e stimoli rispetto a quando navigo sul sito, ha tempi e spazi diversi.
Ieri sera ho aperto il cellophane, una veloce sfogliata, mi viene in mente di un amico coordinatore che quest’estate sarà in Sud America, cerco la sezione dove quell’itinerario è descritto… un flash, il ricordo di un articolo letto qualche mese fa.

Come si chiamava quel “folle”?
No… nessun riferimento patologico, non potrei dirlo; oltre al fatto che lessi un aforisma secondo il quale superati gli otto zeri del conto in banca, in dollari non in rupie, qualsiasi comportamento particolare è da classificarsi come eccentrico.

Ritrovo fortunosamente l’articolo…. Doug!!! ecco il nome dell’eccentrico eco-miliardario americano.

Douglas Tompkins, classe 1943, spirito libero fin dalla giovinezza, si dice avesse abbandonato gli studi a 17 anni, iniziando a lavorare ad Aspen, viaggiando e mettendo da parte i soldi per andare a sciare prima sulle Alpi in Europa e poi sulle Ande in Sudamerica.
A vent’anni, con un prestito bancario, fondò un’azienda di abbigliamento tecnico sportivo, che contribuì alla creazione della sua fortuna patrimoniale.
Venduta già nel 1969, insieme alla prima moglie continuò a fare l’imprenditore nell’abbigliamento, fino alla sua personale svolta alla fine degli anni ’80: vendette le quote anche di questa seconda società di grandissimo successo, si trasferì in Sudamerica con la seconda moglie Kristine e da quel momento si dedicò ad attività a favore dell’ambiente vivendo tra il Cile e l’Argentina.

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Tra queste due nazioni Tompkins comprò quasi 9000 chilometri quadrati di terra, solo per conservarli attraverso i vari enti ambientalistici che aveva fondato, diventando uno dei più grandi proprietari terrieri privati del continente.
Tra le sue proprietà, la più famosa è quella di Pumalín Park, uno dei parchi privati più grandi del mondo, che protegge circa 3mila chilometri quadrati della foresta pluviale che si estende dall’Oceano Pacifico alle Ande.

“Vediamo la perdita di biodiversità come una delle più grandi crisi del nostro tempo” disse, e fece molto per combatterla: l’ultimo atto lo ha portato avanti sua moglie che ha donato al governo cileno una superficie grande come la sola Capo Verde.
Una enorme area destinata a diventare protetta e a far parte di un gigantesco parco nazionale da un totale di 4,5milioni di ettari, grande come tre volte lo Yellowstone e lo Yosemite Park messi insieme, rendendo così, si stima, il 20% di tutto il Cile “zona protetta”.

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L’accordo di donazione, firmato dalla Presidente Bachelet che lo ha definito «Storico atto di conservazione ambientale», prevede la creazione di nuovi parchi nazionali e la fondazione Tompkins sostiene che le aree naturali genereranno un indotto di 270 milioni di dollari annui in ecoturismo dando lavoro a più di 40mila persone. Secondo il National Geographic, gli sforzi dell’imprenditore americano hanno protetto più terra rispetto a quelli di qualsiasi altro privato fino ad oggi.

Tompinks è morto nel 2015 all’età di 72anni, in ospedale per l’ipotermia sofferta a causa del tempo passato in acqua in attesa dei soccorsi, in seguito ad un incidente in kayak nel lago General Carrera in Patagonia, regione a sud del Cile.

Fra le terre acquistate e difese dai Tompkins c’è anche un’ampia parte del territorio della Patagonia che – ha dichiarato la vedova di Douglas – sarà ceduto al governo argentino alla stessa condizione, ovvero che sia trasformata in un’area protetta.

“never stop exploring”, uno dei suoi motti più ricorrenti, e slogan della prima grande azienda da lui fondata.

Grazie Doug.

http://www.tompkinsconservation.org/

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RICORDI CULINARI DI UN VIAGGIO IN THAILANDIA di Valentina Dell’Ernia

Avete voglia di cucina etnica..?

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“Si ma.. non ho voglia di uscire di casa” Bene! Siete nel posto giusto!

Ecco la prima di alcune ricette che potranno soddisfare le vostre curiosità culinarie, senza dover prendere la macchina e dover cercare parcheggio (magari pure lontanissimo dal ristorante!)

Nella comodità e tranquillità delle vostre mura domestiche.

 

Si parte con il pad thai, un classico della cucina thailandese.

Si tratta di un piatto a base di spaghetti di riso (noodles) saltati nel wok al momento, con l’aggiunta di gamberi, verdure, arachidi, spezie ed altri condimenti.

Nasce originariamente come piatto da street food, ed ora si trova in tutti i ristoranti del grande paese del sudest asiatico e, anche se meno frequentemente, nelle più grandi capitali europee.

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Personalmente, la mia curiosità mi aveva portato ad assaggiarlo in un ristorante di Milano qualche anno fa, e già mi aveva colpito..

Ma il sapore di quello assaggiato a Bangkok e sulle isole del golfo del Siam, durante un indimenticabile Thai Discovery dell’agosto 2017, non lo dimenticherò mai!

Molti di voi che stanno leggendo sono stati in Thailandia, e quasi sicuramente vi è piaciuto.

 

Per voi, che non vedete l’ora di rimangiarlo, e per le persone che non l’hanno mai provato ed hanno voglia di sperimentare (è veramente buono!) … ecco, per voi, la ricetta del pad thai!

Questa è quella relativa alla versione classica, ma si può declinare in tante varianti, ad esempio col pollo, oppure con le verdure.

E’ semplice, prendetevi una bella mezzoretta di tempo per prepararlo, magari in compagnia di un buon bicchiere di vino bianco.

 

Ingredienti per 4 persone:

300 gr di noodles (spaghetti di riso; quelli da 3-5 mm di diametro sono perfetti)

80 gr di arachidi macinate

3 spicchi d’aglio

200 gr di gamberi già puliti

60 gr di olio di semi

Coriandolo (ma potete farne anche a meno eh, se non vi piace… è buono lo stesso)

150 gr di germogli di soia

20 gr di salsa di soia

Erba cipollina

50 gr di acqua

40 gr di succo di tamarindo

40 gr di pasta di pesce

1 lime

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Per prima cosa, mettete in una ciotola i noodles, e lasciateli in ammollo nell’acqua tiepida mentre preparate gli ingredienti.

Lavate, asciugate, e tritate finemente il coriandolo (sempre se vi piace…) e l’erba cipollina.

Scaldate il wok (se non l’avete va benissimo anche una padella molto capiente) con 30 gr. di olio di semi, aggiungetevi le arachidi e fatele tostare, mescolandole costantemente per non farle bruciare, e quando vi sembrano pronte toglietele dalla padella e mettetele da parte.

Eliminate dal wok l’olio che avete appena usato e utilizzate gli altri 30 gr. rimasti, sminuzzate gli spicchi d’aglio e fateli soffriggere a fuoco medio per un paio di minuti.

Adesso potete aggiungere gli spaghetti di riso, che nel frattempo dovrebbero essersi ammorbiditi; scolateli e versateli in padella mescolandoli per bene per amalgamarli al soffritto e saltateli sempre a fiamma media per evitare che si attacchino.

Aggiungete il succo di tamarindo, la pasta di pesce e metà salsa di soia, continuando a mescolare.

Versate poi l’acqua, alzate la fiamma, inserite il coriandolo e l’erba cipollina tritata, e mescolate ancora.

Unite a questo punto i germogli di soia, precedentemente sciacquati, amalgamateli al resto e saltate il tutto a fiamma vivace.

Spostate i noodles su di un lato del wok, e aggiungete, nello spazio liberato, i gamberi, sopra i quali andrete a versare la salsa di soia rimanente.

Scottateli brevemente, mescolandoli con delicatezza per evitare di romperli. Solo quando saranno ben tostati, potrete amalgamarli al resto della preparazione, e poi aggiungere le arachidi tostate. Saltate il tutto per l’ultima volta.

 

Eccolo qui..il pad thai è pronto!

Ricordatevi di unire un pò di succo di lime per dare un sapore ancora più esotico…

Buon appetito! E al prossimo viaggio culinario 😉

 

P.s.: per la versione con pollo, aggiungete qualche dadino di carne al posto dei gamberi; per tutte le versioni, potete utilizzare anche altre verdure come carote, fagiolini, peperoni.. L’importante è che rimangano sempre belle croccanti.


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IL GIOCO DEL BAO di Anna Grande


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Il gioco del Bao è diffuso principalmente in Africa orientale (Kenya, Tanzania, Congo, Uganda) e appartiene alla famiglia dei “Mancala”, giochi da tavolo detti anche “giochi di semina” che, attraverso la tratta degli schiavi, si sono diffusi persino nelle Americhe. Ha origini antichissime e spesso è legato ad auspici di buon raccolto: in alcune regioni infatti è consentito giocare solo di giorno in quanto di notte i tavolieri vengono lasciati fuori affinché gli spiriti vi possano giocare.

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Schema iniziale di gioco

Si gioca con un tavoliere di legno (Bao in Swahili vuol dire “tavoliere”) costituito da una serie di 32 buche, dette case o pozzi, disposte su 4 file. Si gioca in due ed ogni giocatore possiede le due file di buche più vicine a sé e 32 semi di uguali dimensioni. All’inizio del gioco ciascun giocatore dispone sei semi nella casella quadrata e due in ciascuna delle due caselle adiacenti, per un totale di dieci semi nella propria fila interna.

I giocatori muovono a turno utilizzando uno dei restanti 22 semi, con una mossa detta “semina” che consiste nel prelevare tutti i pezzi presenti in una delle  proprie buche e depositarli nelle buche adiacenti, uno alla volta, procedendo sempre nella stessa direzione (che al turno successivo può essere invertita come strategia di gioco). Se l’ultimo seme viene posto in una buca che fronteggia una buca dell’avversario contenente dei semi, questi possono essere “catturati” e il giocatore di turno può continuare la propria semina.

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Modello di tavoliere di legno

Il gioco presenta una varietà infinita di regole, ma lo scopo è sempre quello di catturare i pezzi dell’avversario o metterlo in condizione di non avere più mosse consentite a disposizione. Vince il giocatore che per primo svuota la fila interna dell’avversario.

Non è un gioco di fortuna, ma di strategia, di logica, di abilità matematiche e, oltre ad avere una grande funzione di aggregazione e di conoscenza reciproca, costituisce uno strumento con cui insegnare l’aritmetica ai bambini.

Per chi desidera approfondire, sul Web si trovano vari tutorial del gioco. Segnalo in particolare il seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=sld8eDsxyvQ …vedrete due giocatori molto abili e rapidi in azione!

Buon divertimento, con l’augurio di poter sfidare un vero giocatore di Bao in uno dei vostri prossimi viaggi!


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FESTA DI CARNEVALE AL TAXI BLUES 17 Febbraio 2018

Category : Senza categoria

A carnevale ogni scherzo vale

Ritornano le feste in maschera all’Angolo di Milano

Abbiamo festeggiato al ritmo della musica di AC/DJ tra chiacchiere e tortelli.

Tanto buon umore, voglia di ritrovarsi, sano divertimento….. e spunti per nuovi viaggi.

Grazie a tutti per la partecipazione

 

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IL CORSO PER NUOVI COORDINATORI

Un we dedicato alla formazione dei coordinatori per essere pronti a mettere in campo le migliori qualità e governare al meglio le emozioni nella gestione del gruppo.

 

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La bella location sul lago, il tempo splendido, la voglia di mettersi in gioco e la professionalità di Roberto Virgili hanno fatto da cornice a questo interessante e stimolante we…. affichè i coordinatori diano sempre il meglio.

Grazie a tutti per la partecipazione

Danila Lando & Raffaella Falanga

 

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FEBBRE DA TREKKING di Carlo Castagna

Durante il parto, il dolore è così forte che una donna può arrivare ad immaginare come si possa sentire un uomo con la febbre a 37.5

 

“Monsieur,….. monsieur Carlo! Venez, Il est prêt à manger!”

Sono a letto con 39 di febbre e una fastidiosissima tosse. Mi trovo a Dalaba, in Guinea Conakry.

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Sono rimasto solo. Il gruppo è partito per l’escursione al Fouta Djalon.

Con loro ci sono le guide ed è tutto sotto controllo, senza problemi.

Purtroppo la malattia mi ha colpito proprio il giorno della partenza ed ora, dopo due giorni di viaggio, si sta aggravando. Anche con i migliori propositi non sarei in grado di seguire gli altri; mi sentirei di peso con, oltretutto, il rischio di diventare un untore e pregiudicare le vacanze di qualcun altro dei miei compagni.

Anche una logica ragione di buonsenso induce a fermarmi per qualche giorno. Il contesto non è ostile. Ho una camera con un lettino confortevole, c’è l’acqua e la luce anche se solo di sera. Siamo a 1.500mslm ed il clima è piacevolissimo; non ci sono insetti e i padroni di casa sono veramente ospitali. AbdulKarim ha anche fatto lo chef per la mensa di una grande fabbrica in Senegal. Lui, sua moglie e sua figlia si prenderanno cura di me.

La febbre è sempre alta e non ho molta fame; tantomeno ho voglia di alzarmi dal letto ma, facendomi una grande violenza, mi alzo soprattutto per gratificare l’ospitalità dei miei anfitrioni. Ho appena preso un pastiglione di amoxicillina e sarebbe consigliabile mettere qualcos’altro nello stomaco.

Mi hanno atteso per cenare insieme ed il piatto è coperto come in un ristorante stellato. Chiedo scusa per il ritardo e mi accomodo vicino a Rama, la figlia di AbdulKarim. Si solleva il coperchio ed una nuvola di vapore si alza dal grande piatto di portata scoprendo un enorme naso di maiale arrosto appoggiato su di una specie di purè di tapioca. Il mio stupore è evidente tanto che tutti se ne accorgono. Rama mi spiega che loro sono musulmani ma….non proprio rigorosamente osservanti tanto che compaiono anche un paio di bottiglie di birra.

La solita spettacolare flessibilità africana.

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Mi servo un paio di cucchiai di tapioca e un piccolo pezzo di narice facendo attenzione nel selezionare la parte più depilata dalle setole residue.

Da padano, il musetto del maiale, è un articolo che mi è piuttosto familiare ma non ho molto appetito e non rendo grande onore al cuoco.

La tosse non dà tregua per tutta la notte e anche la febbre è costantemente alta. Rama dice che sarebbe prudente consultare un loro cugino che lavora al dispensario di Dalaba. AbdulKarim, preoccupato del mio scarso appetito, chiede cosa può preparare per pranzo. Gli chiedo, se possibile, di avere del riso con del pollo grigliato oppure lessato.

A metà mattina, vengo svegliato dal bussare alla porta. Si presentano in due apparentemente vestiti da muratore. Suppongo che debbano chiudere il grosso foro rimasto a testimoniare la passata presenza di un lavandino.

Si presentano come i parenti che lavorano al dispensario e si offrono di visitarmi. Innanzitutto sarebbe saggio escludere la possibilità di avere la malaria. Fortunatamente hanno il test istantaneo. Una punturina sul polpastrello, una goccia di sangue capillare e, in quindici minuti, il reagente ci fornisce l’esito che è negativo.

Misuriamo la temperatura e constatiamo che è ancora alta e mi confermano che ho la febbre. Mi sentono il torace con l’aiuto dello stetoscopio e stabiliscono che ho la tosse. Consigliano di prendere delle medicine. Gli mostro la scatola con la piccola farmacia da viaggio e, sorridendo, confessano che è più fornita della farmacia del loro dispensario. Il blister di Augmentin è in bella vista; dico che ho già cominciato la terapia raccogliendo la loro approvazione. Si congedano con cortesia invitandomi ad andare al dispensario in caso di peggioramento. Sono più sereno.

“Monsieur….monsieur Carlo! Venezia, il est prêt à manger” l’inconfondibile vocina di Rama squilla avvisando che è ora di pranzo.

L’aspettativa di un pollo alla griglia non mi entusiasma ma qualcosa bisogna pure mettere nello stomaco. Come la sera precedente, trovo AbdulKarim ad attendermi con i piatti di portata rigorosamente coperti. Mi accomodo e lo tranquillizzo riguardo le mie condizioni che sembrano migliorare. Scoperchia i piattoni con grande soddisfazione commentando il menù che, tutto sembra, tranne che pollo. “Calmar farci avec la Papaya!”, calamari ripieni di papaya.

Forse avevo scordato di dire che non mangio pesce, mi fa schifissimo! ma, onestamente, non mi ero posto il problema data la location montana e la lontananza dal mare. Comincio a benedire l’inventore delle barrette Enerzona di cui ho un discreto assortimento.

Nel frattempo, il gruppo manda notizie tramite l’efficientissima rete telefonica. Il trek nell’altopiano del Fouta Djalon è bellissimo e supera le aspettative. I villaggi di Ainguel e Douky sono situati in contesti geografici spettacolari. Il fiume Fetorè ha scavato il suo alveo attraverso un territorio unico formando piscine, cascate, fontane naturali che sorprendono i (pochi) viaggiatori che si avventurano da quelle parti. Anche gli abitanti dei villaggi, seppur toccati pesantemente dalla modernità, sono riusciti a mantenere una grande genuinità e, soprattutto, la loro dignità culturale.

Il 27 dicembre è una giornata speciale per il gruppo. Si festeggiano ben due compleanni, uno dei quali a ‘cifra tonda’. I festeggiamenti sono assolutamente imprescindibili! Anche se da lontano, riesco a contattare al telefono la bravissima guida Bouba e chiedergli di fare preparare una torta di compleanno.

“Pas de problème, monsieur!”.

La festa a sorpresa è riuscita bene. La torta è stata gradita e si è ballato e cantato fino a notte. Poi….tutti in tenda oppure ospiti presso le famiglie del villaggio.

Rasserenato dalle belle notizie provenienti dal gruppo mi appresto a condividere la cena. Ormai sono di casa e non mi faccio chiamare, sono puntuale anche perché comincio ad accusare i sintomi della fame ‘vera’. Arrivo a tavola senza che i piatti siano coperti. Vedo delle invitanti brochettes con il riso. “Ce sont des  brochettes de mouton rôti”. L’aspetto è molto invitante e mi servo golosamente. Sfilo un cubetto di carne che rimbalza sul piatto rischiando di rotolare per la tavola. Lo infilzo con la forchetta che, essendo di metallo molto sottile, si piega leggermente. Quando provo a tagliarla, il coltello poco affilato, riesce con fatica a svolgere il suo compito. Finalmente addento la carne e mi accorgo che i segnali che avevo notato in precedenza senza considerarli erano sintomatici di una consistenza dello spezzatino comparabile solo a quella di uno pneumatico da TIR. Tento inutilmente di masticare ma non riuscendo ad avere soddisfazione finisco con il succhiare la bistecca mescolando il tutto con un po’ di riso.

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I medicinali cominciano a fare effetto; mi sento meglio e decido di partire per Labe dove arriveranno i miei compagni di viaggio. Preparo il bagaglio e mi apposto lungo il bordo della strada in attesa di un taxibrousse il quale non tarda ad arrivare. Abdulkarim mi aiuta spiegando all’autista l’indirizzo della mia destinazione. Una volta arrivati a Pita dovrò cambiare mezzo e, in tre o quattro ore dovrei arrivare a Labe. L’automobile è una Peugeot 504, non ne vedevo una dal 1986. In Guinea tutti i taxi sono Peugeot 504 station wagon o ciò che ne rimane. All’interno saremmo in nove. Io sono alto due metri e peso 110kg, non bisogna certo essere un esperto di logistica per stabilire che nei sedili posteriori non ci sto e che posso occupare solo il sedile anteriore. Oltretutto, da solo perché nella configurazione standard dovrebbe essere un posto condiviso. L’autista fa scendere tutti e riposiziona rapidamente i passeggeri liberando miracolosamente il sedile anteriore ma dovrò pagare per due posti. Accetto con un minimo (minimo) senso di colpa. Il portapacchi è stracolmo di cose tenute insieme da una rete. Anche la mia borsa trova posto sotto la rete e finalmente partiamo. Lungo il percorso facciamo molte fermate per ritirare qualsiasi tipo di prodotto; sacchi di carbone, un vestito, bidoni vuoti, una bici, lettere e anche due mazzette di denaro contante. Evidentemente i taxisti sono molto affidabili e svolgono anche un ruolo di logistica sociale. Scendo al terminal dei taxi di Pita e devo cercare un altro passaggio per Labe. Ovviamente sono l’unico bianco ma non mi sento a disagio. Sono solo molto debole a causa della febbre e degli antibiotici assunti. Un ragazzino che urla “LABE, LABE” mi fa capire che c’è un taxi in partenza. Mi afferra la valigia e la lega al portapacchi. Stavolta sulla vettura siamo solo in quattro e posso sedermi sul sedile anteriore senza pagare il supplemento. Lungo la via carichiamo altre cose ed un paio di passeggeri e dopo un paio d’ore arriviamo al terminal dei taxi di Labe. Anche qui sono l’unico bianco. I ragazzi dei mototaxi mi chiedono dove sono diretto; uno di loro conosce il Tata Hotel che è nella prima periferia della città. Provo a chiamare il gruppo che, nel frattempo, dovrebbe aver raggiunto Leyfita ed avere visitato il Canyon di Indiana Jones. Riesco a mettermi in contatto e i racconti sono entusiastici. Passaggi strettissimi fra le rocce con una vegetazione particolare ed una straordinaria ospitalità da parte degli abitanti dei villaggi. Domani finalmente ci rivedremo. La proprietaria dell’hotel è una signora che ha lavorato come cuoca a Sassuolo e con il denaro guadagnato in Italia ha aperto questa struttura. Si chiama Tata e, ovviamente, parla un ottimo italiano che utilizza per raccontare come funziona la vita a Labe.

Andiamo insieme al Grand Marché de Labe, il mercato centrale, molto animato e ricco di bancarelle. Labe è la seconda città più popolosa della Guinea. Qui si incontrano tutte le etnie della regione per approvvigionarsi del necessario per sopravvivere nei villaggi di provenienza. Sono in maggioranza Peul o Fula; molti Mandinko e Susu. Guardandoli con attenzione e con l’aiuto di Tata riesco a distinguerne le caratteristiche fisiche. Le donne sono particolarmente belle e l’impressione è che….sappiano di esserlo.

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Osservare un mercato è sempre istruttivo. Si imparano le tradizioni e i costumi, si conosce la gente, si apprendono le usanze locali.

Mi siedo su una panca all’esterno dell’hotel Americain, prendo un thè e guardo il mondo girarmi intorno. I motorini sono tutti cinesi. Sono molto diffusi e in maggioranza nuovi. Vengono utilizzati come taxi fino a quattro persone. Le cose più curiose sono i taxibrousse. Più che automobili sono miracoli della manualità e della fantasia umana. Il logo le definisce come Peugeot 504 ma in realtà sono degli ibridi riassemblati innumerevoli volte; risultato di magie ingegneristiche che sfidano (e vincono) le leggi della meccanica. Sono l’emblema dell’Africa. Di come le necessità insegnino a non mollare mai; che l’indispensabile è quello che basta per arrivare a domani. Dopodomani è una previsione troppo a lungo termine. Si compra la benzina in bottiglia. Un litro alla volta; poi vedremo.

Sono un “frequentatore” dell’Africa dai primi anni 90. Ne ho viste di tutti i colori e ho difficoltà a stupirmi per qualcosa ma guardando un taxibrousse mi rendo conto dell’imprescindibilità del destino e, soprattutto, di quanto viziati siamo.

Il vociare inconfondibile di un gruppo di italiani mi sveglia dal pisolino che sto facendo disteso su di un amaca in giardino. Sono arrivati!!

Volti arrossati dal sole e striati dai rivoli di sudore fra l’impanatura di polvere rossa. Zaini sporchi, scarpe impolverate ma, soprattutto, enormi sorrisi. Abbracci e tanta voglia di raccontare per consentirmi di condividere le esperienze che purtroppo non ho potuto vivere con loro. I sorrisi si affievoliscono nel momento in cui comunico che non c’è il wifi!! Ma la delusione dura poco. Le bellissime emozioni vissute non si possono trasmettere attraverso Facebook ed i ricordi di quei momenti saranno proprietà solo di chi li ha vissuti nella realtà …..non virtuale.

“Monsieur,….. monsieur Carlo!…”


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